Descolarizzatori
“Non vorrei lanciare nozioni che facciano scuola ma dei concetti, che passino nella corrente. Non intendo dire che diventino qualcosa di ordinario, ma che diventino idee correnti ovvero maneggiabili in diversi modi. E lo posso fare solo se mi rivolgo a dei solitari che piegheranno le nozioni a modo loro, servendosene per ciò che gli occorre. Sono nozioni di movimento non di scuola” (Gilles Deleuze dalla parola “professore” tratta da L’Abécédaire, 1988).
L’uomo di oggi per costruire se stesso può contare soltanto su quell’insieme di regole facoltative e non deterministiche che hanno definito e definiscono il campo dell’arte. Se allora un grande apparato di cattura, ormai da anni, è al lavoro per sfruttare le forme di innovazione e di inventività sempre più diffuse, altrettanto vero è che le pratiche artistiche hanno sempre più raggiunto una loro centralità paradigmatica nell’orientare i processi di formazione e di auto-educazione contemporanei. E l’arte risulta, dunque, inseparabile dai processi sociali e di collettivizzazione a venire. Come insegnare arte allora? O, come educare quando l’arte è uno dei modelli privilegiati d’apprendimento? Come molti artisti contemporanei e “descolarizzatori” recentemente ci hanno suggerito:“piuttosto che regalare un pesce è meglio insegnare a pescare” (Marco Scotini).
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