13 novembre 2010

Torna Lo schermo dell’arte Film Festival con l’edizione 2010
Dal 22 al 25 Novembre - Odeon Firenze
http://www.schermodellarte.org


Frame


da non perdere!!!!
e proprio io quest'anno non ci sono...


KikiSmith_homeKiki smith

08 ottobre 2010

BRUCIA BABILONIA/ Private Flat# 6. Firenze (Italy)


"Private Flat": un Festival in formato domestico

L'8, 9 e 10 ottobre l'arte contemporanea invade le case di Firenze
Domani, venerdì 8 ottobre prenderà il via a Firenze la sesta edizione di Private Flat / Arte contemporanea in spazi privati, l'evento che dal 2006 propone una nuova modalità di promozione della cultura artistica contemporanea. Il titolo di questa edizione è Brucia Babilonia. La manifestazione che proseguirà il 9 e 10 ottobre mantiene il suo caratteristico format di "esposizione diffusa" in luoghi della città messi a disposizione direttamente dai cittadini: si tratta di appartamenti e studi professionali allestiti come autentici luoghi espositivi. Quest'anno gli spazi di Private Flat sono 17 per oltre 70 artisti. Nel 2009 erano 14 spazi, questo a dimostrazione del maggior interesse da parte del pubblico e dei cittadini che offrono propri spazi e proprie risolrse per la realizzazione dell'evento.



I progetti curatoriali sono stati selezionati tra le oltre 60 proposte giunte in risposta al bando che l'Associazione Private Flat ha promosso circa dieci mesi fa. Gli artisti coinvolti sono oltre 70 e, come in passato, alle esposizioni di arte visiva si affiancheranno performance all'interno degli appartamenti. Ognuno dei 17 spazi ospiterà un progetto espositivo singolo legato al tema comune di questa edizione: il linguaggio e la comunicazione.

Il titolo Brucia babilonia coniuga una riflessione comune sui temi della comunicazione interpersonale e interculturale, in una doppia dimenzione sociale e privata. Babilonia e la sua traduzione biblica Babele  è stata scelta come allegoria per i suoi rimandi simbolici a ampie problematiche ancora accese nella società contemporanea. la lingua, le differenze culturali, l'incapacità comunicativa, sono alcuni degli aspetti a cui l'immagine della capitale del mondo antico ancora rimanda. Il rogo che simbolicamente vorrebbe arderla suggerisce il quesito principale che è statao posto ai curatori partecipanti, ovvero se la molteplicità e il pluralismo di forme possano o debbano depositiarsi nell'uniformità del linguaggio, pensiero, costume, volontà.

Private Flat 2010 rinnova la sua sfida alle forme tradizionali su cui vengono costruite le manifestazioni artistiche e culturali. Nessun finanziamento pubblico è stato richiesto per relaizzare la manifestazione, a ribadire la volontà di coinvolgimento dal basso della cittadinanza. Gli spazi, i finanziamenti, le professionalità messe in campo per la realizzazione dell'evento dimostrano l'interesse e lo sforzo di un numero sempre più ampio di singoli.



Venerdì sera dalle ore 20 alla Casa della Creatività si terrà l'Opening Partycon performance live di Alpin Folks, Gioacchino Turù e Vanessa V.


Spazio #6.9 via Il Prato 64 Cupe vampe
curato da Matilde Puleo. Artisti presenti: Meri Ciuchi, Virginia Lopez, Paola Maffei, Antonella Mercati, Muzakiller Foundation, Pino Puntù.


Scopri tutti gli spazi:
www.privateflat.it

09 settembre 2010

KIASMA MUSEUM, HELSINKI FINLANDIA

Appena arivata in Finlanda, ho visitato  questo meraviglioso museo d'arte contemporanea, con infinità di attività, workshop and lectures, e con una mostra interessante in questi momenti :
Common Things 14 apr- 12 sep 2010. (2nd floor)
Una descrizione del nostro tempo attraverso lo sguardo di giovani artisti scandinavi, installazione, video, pittura... dove si mette in discussione la vita cotidiana, le piccole cose di tutti i giorni, i problemi sociali, di communicazione, il senso di solitudine, l'identità culturale, i sogni, le speranze, le mancanze. Una mostra che ci fa sentire come l'arte contemporane non è niente di estraneo alla vita comune, ma partecipa e vive in lei, ci la fa sentire con un pizzico di ironia e attraverso quel sguardo nuovo con cui , non siamo soliti guardare il mondo.

12 maggio 2010

(...) "Quizá la expresión es incorrecta y lo que se le había ido era el tiempo, que tal vez nunca pasa del todo en contra de lo que solemos creer, como tampoco nunca dejamos de ser enteramente lo que hemos sido..." Javier Marías en Tu rostro mañana.III.

16 aprile 2010

Gian Marco Montesano

LA PITTURA IN QUESTIONE
ieri 15/14/2010 alla Strozzina, Firenze.

Includo qua e sotto virgolette spezzoni del testo presentato ieri da Gian Marco Montesano al interno del programma di Lectures promosso dal Centro di Cultura Contemporanea a palazzo Strozzi,  Strozzina (CCC) con occasione della mostra La dissolvenza dell'immagine. Una rifflesione interessante sul rapporto tra l'arte e il sistema culturale-politico ed economico, una teoria sulla futura e certa sparizione del sistema dell'arte come ancora intendiamo oggi  a cui ci si aferra per non morire. Sotto questo aspetto, e seguendo  le parole di Montesano, definitivamente appartengo al gruppo dei reazzionari, quelli del "pezzo unico", del manufatto, del "fare" anche quando la pittura si traveste di fotografia, installazioni ed altro.
"L'aura della pittura(...). le vecchie forme del lavoro nelle qualli il manufatto "capolavoro", realizzato "a regola d'arte", veniva concepito come emblema nobile di tutto quel lavoro manuale, concreto e determinato che costituiva la forma della produzzione. Il pezzo unico che poteva uscire dalle mani di questo o quello pittore (ma anche di questo o quello artigliano) raccolgieva in torno a sé tutta l'ammirazione virtuosa della collettività."
"La crisi: Oggi, l'ormai endemico aumento strutturale del tasso di disoccupazione, mobilità... altro no è che la misura di un duplice" rifiuto del lavoro", le generazione tecnologicamnte avanzate rifiutano il lavoro e nel contempo, il lavoror rifiuta i grandi numeri ("classe operaia", "masse laboriose"...). Questo stesso linguaggio politco tradizionale suscita oggi la medesima sensazione di obsolescenza provocata dalla presenza della pittura nelle grandi manifestazioni del Contenporaneo"
 se fate un click sul nome di Gian Marco Montesano, potrete sentire la sua registrazione sul sito della Strozzina. Questo era solo la caramella...

15 aprile 2010

l'arte senza tempo

lingua muta universale
riflessioni in torno a Otto. Rank, Il trauma della nascita
Il mondo come rappresentazione perche tutto ciò che è davanti all’Io, natura e cultura, è il risultato del nostro guardare, di una visione antropomorfica, e la percezione di questa realtà, il “vedere” è in se stesso un atto creativo e porta con sé non solo l’atto fisico del guardare ma tutti gli elementi emotivi, e cognitivi dell’uomo. Perché noi vediamo ciò che sappiamo, e nessuna scoperta è vera scoperta dal nulla ma ri-velazione di uno stato latente che aspettava di essere messo di nuovo alla luce. Perciò, il simbolismo, quella lingua muta universale come la definisce Rank, che appartiene specificamente all’uomo, si manifesta in tutto ciò che è al di fuori di lui, modificando il mondo, creandolo a sua misura  sulla base del suo inconscio. Rank esamina tutte queste “costruzioni”, dall’arte ei manufatti alla filosofia e la religione, in uno sviluppo che ha portato l’uomo attraverso la sublimazione verso simboli sempre più astratti e lontani del trauma originario. L’uomo oggi è pieno di concetti astratti, idee, dalle quali ha rimosso però il suo contenuto emotivo, e si trova sprovvisto , orfano in natura, non è più capace di questa “partecipazione mistica” che mantengono ancora vivi i popoli primitivi, che vive ancora nelle leggende e nei miti, e che noi abbiamo depositato nell’inconscio. L’evoluzione dell’uomo sarà un continuo rinnovarsi di simboli, ogni volta più complessi, che nascondono sempre l’eterno desiderio e bisogno di sicurezza primitiva, e allo stesso tempo tengono lontano il ricordo del trauma che a quella perduta realtà e connesso.
Attraverso la fissazione d'immagini -simbolo si arriva al non-tempo: la pioggia, l'albero che cambia le foglie e permane, il sole che tramonta e rinasce, il bianco dei lenzuoli stesi di tergo lino, il vento, la casa, la terra. La capacità di estrarre dal particolare contingente, dalla fragilità e provvisorità della nostra essistenza fugace, l'universalità, la permanenza che attraversa con fili sottili e trasparenti tutta la nostra realtà.

14 aprile 2010

conversazioni

Virginia Lopez- Enrique Moya. Firenze / marzo 2009

V.L.L’altro giorno mi hai detto, commentando una delle tue opere, che l’occhio è il grande truffatore. Come dice Arnheim l’arte è “il mezzo di percezione che ci rivela l’essenza della nostra esistenza” e, questa percezione, è un fenomeno psichico in cui intervengono sia i sensi che un’infinità di altri elementi: condizionamenti sociali, culturali, emotivi e , soprattutto il ricordo…da questo proviene la malinconia del pensare che percepiamo solo quello che vediamo o conosciamo; per questo si può perdere tante realtà. E’ necessario rompere la barriera ed andare oltre in modo che l’occhio dell’anima guidi quello fisico. In questo modo forse invece di “coprire” si possa “s-coprire” la vera essenza delle cose.
Sul comodino tengo il “livro do Desassossego” di Pessoa che descrive perfettamente questo pensiero: “come vorrei (….) non aver mai imparato dalla nascita ad attribuire nomi convenzionali alle cose; poter separare l’apparenza attribuita che le cose hanno dalla loro essenza (…) vedere tutto come se fosse la prima volta come una rinascita della realtà (…) il lato nascosto di tutto ciò che esiste, quel lato attraverso il quale le cose comunicano con la mia anima. Sono diventato un ceco vedente. Il mio modo di sentire fa parte della banalità. Cammino lentamente come morto e la mia vista non mi appartiene più, è quella dell’animale umano che ha ereditato, senza volerlo, la cultura greca, l’ordine romano, la morale cristiana e tutte le altre illusioni che formano la civiltà all’interno della quale io assimilo”. Esiste una via d’uscita?
E.M. In realtà, la Storia, ha una rilevanza che a volte non può essere percepita dalla ragione, una rilevanza data dalla memoria. Non credi? (...)
La modernità con la peculiarità dell’azione comunicativa incentrata sulla riproduzione della trasmissione di valori e norme è permeata da regole di razionalità economica ed amministrativa, per cui obbligata ad una razionalizzazione completamente aliena alle regole della comunicazione stessa. Questo è il motivo per cui la Storia ha perso di importanza in una società basata sul sensazionalismo. la mia lotta interiore è di origine massmediatica: per mezzo di questa ci incitano a cancellare quel che è successo ieri, a pensare solo alle disgrazie di oggi. in fin dei conti sono anche io figlio dello Spectrum. Riesci a capirmi?
V.L. Sì, probabilmente è lo stesso concetto che dicevo commentando Pessoa, il carattere ”usato” di come vediamo il mondo... i mass media amplificano ancora di più questo aspetto banalizzando tutto portandoci ad un unico punto di vista: alla fine diciamo e pensiamo tutti le stesse cose; e ci stanno togliendo punti di riferimento! Diventa ancora più difficile  ascoltare il silenzio dove vive l’essenza immutabile delle cose.
Non mi interessa che formalmente Cezanne abbia aperto la strada verso il cubismo, io amo ed invidio la perseveranza della ricerca, l’ostinazione, l’ossessione per scoprire la verità, per arrivare a sfiorare l’essenza.
A me sembra che il tuo lavoro abbia l’intenzione di trasformare o farci riflettere sulla nostra condotta, in un certo senso, attraverso dei simboli: narra e critica. Non è che è un geroglifico? Pieno di indizi che portano ad una soluzione, che ti importa che sia facile o meno capire il messaggio, la Storia che c’è dietro.
E:M. Hmmm, vediamo... in realtà le mie immagini si che pretendono di farci riflettere e formulare le cose attraverso il linguaggio della linea, senza dimenticare che queste cose sono a loro volta processate dalle leggi universali del disegno.
Il messaggio invece lo deve estrapolare lo spettatore: io solo ho il ruolo di catalizzatore, di ripetitore di onde che permette allo spettatore di immaginarsi una soluzione cognitiva per mezzo di diagrammi. Diagrammi che nascondono informazioni, che si rompono, si sovrappongono, insomma, disegni che si intuiscono... in un certo senso io solo presento un gioco, giocarci attiva la curiosità dello spettatore e lo incita ad una visione riflettuta. E’ importante per te la quantità di informazioni?
V.L. Assolutamente NO!!! Preferisco l’evocare all’informare. Nel modo in cui esponevi: indurre una riflessione. O bensì qualcosa che non venga troppo filtrato dalla mente razionale, analitica. Una ricerca “dell’altra voce” di Octavio Paz, sussurrante, che ci parla degli stati di dormiveglia.Non riesco a vedere l’arte separata dall’aura, di un contenuto spirituale in qualche modo, quando vedo i tubi di neon di Flavin o i tappeti di Carl Andrè, mi chiedo se la stessa scelta dei materiali non abbia già un significato intrinseco, una valenza simbolica... alla fine l’opera si trasforma in uno specchio introspettivo.
Mi piace quel che dici a proposito dell’aspetto ludico per catturare, stimolare lo spettatore e portarlo ad una riflessione seria. Io non sono ludica... penso che il “gioco” si stabilisca al momento stesso della creazione dell’opera, nei materiali nelle tensioni, nelle colate, ri-scoperte casuali. Immagino che anche a te succeda, suppongo succeda a tutti la seduzione del materiale... ! Di fatto sono arrivata alla fotografia  per l’aspetto manuale e viscoso dell’insieme, l’instabilità, la fragilità di ciò che viene rivelato. Non importa la velocità dello scatto piuttosto il momento dello sviluppo, la possibilità di trasformare, la possibilità di commettere errori... vagabondare sulla superficie, velare e svelare, e che magia!
Da tempo cercavo un’immagine meno concreta, meno attaccata all’aspetto superficiale delle cose. Paradossalmente a ciò sono arrivata attraverso la fotografia. Un mio amico fotografo – G. Fortunato – mi ha parlato dei procedimenti ai pigmenti ed ho iniziato a fare prove nel mio studio. La gelatina in sospensione, i pigmenti, l’immagine che appariva nell’acqua mi hanno affascinato. Infine c’è l’idea permeante che la fotografia descriva ciò che è stato e ciò che non è più (animula)...
E.M. La mia esperienza con la fotografia è stata molto bella: quando studiavo non mi piaceva la fotografia, mi sembrava fredda, senz’anima, mi piaceva solo come mezzo di archiviazione di momenti. Poco a poco, lavorando parallelamente con l’incisione, il valore del disegno – e soprattutto della linea come segno – ha assunto una predominanza assoluta.
Il fatto di usare la fotografia (per altro come sfondo) serve come filo conduttore di un discorso. La fotografia crea un luogo comune, uno spazio di esplorazione che trascina lo spettatore a se, visto che sono immagini che lo spettatore – lettore prende come scene in qualche modo familiari. Usando le parole di Ronald Barthes: “io non vedevo altro che il referente, l’oggetto desiderato, il corpo prediletto.”(...) Vedendo le tue opere, mi chiedevo il perchè della distanza fra lo spettatore e l’immagine.
V.L. Perchè lo spettatore è un corpo estraneo, risposta immediata . La distanza è spaziale e temporale. Entrare in un’opera esige tempo e silenzio. Sicuramente parto dalla base che lo spettatore sia empatico come me, e che così si stabilisce la relazione. E’ inutile che mi sforzi, che insista, non mi importa quello che pensa o sente. Non mi voto alla ragione, io pongo uno specchio davanti, se vi si riflette bene, se no... finisce la magia... può apprezzare la forma, l’apparenza estetica... ma quelle linee e quelle forme sulla superficie hanno un’anima ed esistono grazie a quella. Sicuramente non cerco una relazione dinamica, le opere sono estatiche, sospese, come se stessero trattenendo il respiro, la bocca semiaperta, percependo qualcosa a cui ancora non sappiamo dare un nome.
Spesso la linea delle tue opere descrive elementi meccanici, tecnici... istruzioni per costruire qualcosa? Riflessi di un mondo meccanico? Introducono un elemento inquietante per la loro freddezza... mi viene in mente David Cronemberg...
E.M. Effettivamente le componenti meccaniche sono forme austere, fredde e geometriche. Producono nella retina una contrapposizione alla linea del corpo umano. Visto che sono comunque disegni vivono in simbiosi, però si contrappongono: mentre il corpo umano è un’opera della natura, le componenti sono prodotto indiretto dell’essere umano. Questo ha una stretta relazione con ciò che Virginia diceva dell’anima; mentre una ha un’anima propria, l’altra, la linea della macchina è e resterà sempre fredda senz’ anima, non è sottoposta a cambiamenti se non per l’usura e non è destinata a morire: non subisce il tempo che passa. Noi sì. Rispetto a Cronemberg, uno dei miei registi preferiti, entrambi ci poniamo domande su un’ipotetico “mondo meccanico”, di più, il mondo meccanico ha prevalso nelle nostre vite, ha imposto le sue regole e il suo ruolo nel gioco al punto che, nell’arco di solo cent’anni si è trasformata in una parte imprescindibile della vita dell’essere umano.
Vedendo le tue velature bianche con impronte, segni... anche a me è venuto in mente un regista e sopratutto uno dei suoi film, Paris – Texas. Mi parleresti del perchè di quelle velature, solitudine?
V.L. La solitudine è inevitabile, ma anche in senso positivo, necessario.Sopravvivere, come nel “grido” di V. Woolf : “Non te ne andare vita!”, intuizione della precarietà della vita che noi nonostante tutto tentiamo di fermare come segno di qualcosa di eterno. Protezione e difesa, o una serra che ci isola ed anche forse uno spazio per la nostalgia dove i contorni si disegnano ed entra la memoria... l’immagine che viene da lontano e che ci obbliga a scavare oltre la superficie... da qui l’utilizzo della cera per il suo aspetto trasparente, puro, naturale e misterioso, materiale che riporta alla Terra, alla memoria. La teca/urna che contiene, nasconde, deforma. Testimonianza dell’esistenza, qui, ora, sempre. Sicuramente dove inizia l’opera l’autore tace...

John Berger

John Berger. Sul guardare. Ed. Bruno Mondadori.
Quando la visione è memoria, e si trasforma col tempo, col vissuto e le proprie esperinze di vita. Perché oggi, quando la tecnica paradosslamente non è tanto importante, e non fà le magie da sola (quella fata morgana di cui parla Bonami); lo sguardo diventa quella percezione unica e personale che ri-vela le essenze del mondo.

fotografia : Iste ego sum.virginia lopez. 2010

Octavio Paz

Octavio Paz (Premio Nobel 1990) .La otra voz. Poesia y fin de siglo. Seix Barral Ed. Spain.
Un'analisi e una difessa della poesia che vale per tutte le arti. La trasformazione subita nei tempi moderni, la situazione di crisi odierna e la attesa di una rinascita che attende, come attende quella voce profonda arcana e silenziosa che abita dentro di noi.